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Ahmadinejad, Capriles, Chavez, elezioni, esercito, esplosioni, Gheddafi, morti, raffinerie, Venezuela
Nelle elezioni che si terranno il 7 ottobre in Venezuela, la vera competizione tra Chavez e Capriles si gioca in realtà sul terreno del’immagine:
Magro, sportivo e istruito, Capriles è un brillante avvocato e politico esperto in diritto commerciale e tributario, uomo della semplificazione e della deburocratizzazione. Nipote di ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, e fervente cattolico, ha studiato in Venezuela, Italia, Olanda e negli Stati Uniti e gode di un ampissimo appoggio da parte di tutta l’arena internazionale, soprattutto dell’America del Nord.
I suoi elettori sono principalmente i piccoli e medi imprenditori e la classe media. Sono quelli che magari avevano votato per Chavez 13 anni fa, ma che poi hanno assistito alla vertiginosa impennata degli indici di criminalità. Quelli che erano d’accordo con le nazionalizzazioni, ma che poi sono andati a sbattere contro la corruzione e l’inefficienza statale. Quelli che non sopportano i sempre più frequenti black-out elettrici alla cubana in uno dei Paesi più ricchi in risorse naturali di tutto il mondo, ormai ammessi anche dallo stesso Chavez che fino ad ora aveva negato il problema.
Tale inefficienza include anche la mancanza di manutenzione alle infrastrutture e agli impianti di raffineria del Paese, ed ha provocato veri e propri disastri ecologici ed umani: 12 le esplosioni solo nel primo semestre del 2012, senza contare l’ultima avvenuta sabato notte che ha causato ben 39 morti. Il mal funzionamento delle raffinerie nazionalizzate ha anche portato alla diminuzione della produzione petrolifera, fatto grave in un paese il cui PIL è finanziato per il 60% dal petrolio.
Chavez, d’altra parte, sembra uno dei maiali appena uscito dal libro di George Orwell La Fattoria degli Animali. Ha incentrato tutto il potere dello Stato nelle proprie mani, per poi sistemare al suo interno tutti i membri della propria famiglia. Grossolano, ingombrante e volgare, sul profilo internazionale si è distinto per l’amicizia con vari dei più feroci dittatori mondiali tra cui Gheddafi e Ahmadinejad, senza citare, ovviamente, i fratelli Castro.
Chavez è anche un militare, e una porzione ancora sostanziosa dell’esercito è dalla sua parte, e sarebbe disposta a qualunque cosa pur di mantenerlo al potere (soprattutto visti i larghi privilegi che i militari godono sotto il Governo Chavez). I suoi elettori provengono, oltre che dall’esercito, dagli strati più poveri della società, gli indigeni soprattutto che lo votano in cambio di sovvenzioni statali e coupon in regalo per andare a fare la spesa nei supermercati nazionali. Ma riceve anche l’appoggio di molti giovani che credono nel sogno rivoluzionario.
Molti sondaggi danno Capriles in vantaggio, ma c’è un 30% di popolazione indecisa che, come sempre, sarà decisiva. Ci sono dei segnali che testimoniano la superiorità di Capriles. Per esempio il Presidente Colombiano Santos ha espresso il desiderio di voler conoscere il giovane avvocato invitandolo a Bogotà. E Chavez vittima poco tempo fa di una protesta popolare durante una delle sue famosissime trasmissioni, ha dovuto interrompere la diretta e mandare in onda immagini di repertorio. Si è comunque rifatto qualche giorno dopo interrompendo un messaggio televisivo di Capriles sui canali nazionali (o nazionalizzati), cosa che ha immediatamente causato lo sdegno del candidato di opposizione e dei suoi followers su Twitter.
La vera incognita di queste elezioni è però un’altra: come reagirebbe l’esercito a una non conferma di Chavez? Questa è la domanda che non solo noi, ma che il 30% dei Venezuelani indecisi si stanno ponendo. E’ chiaro che, se dovesse vincere la paura di una rivolta dell’esercito o della possibilità di uno scontro civile (cosa peraltro non nuova in Venezuela), allora la gente sarebbe più propensa a votare Chavez per evitare il conflitto.
Se invece Capriles riuscirà a rassicurare il popolo, e a garantirsi l’appoggio dei militari, allora si verificherà l‘evento politico più importante degli ultimi 15 anni: il Socialismo del XXI secolo arriverà al suo capolinea, e si inaugurerà una nuova era – speriamo più equilibrata e meno populista – in quello che ha tutte le caratteristiche per essere il Continente del futuro.