Tag
artigianato ecuadoriano, beneficiari, Cooper-Attiva, cooperazione internazionale, discriminazione, impatto ambientale, lavoro volontario, mobili in legno, poveri, progetto
Ogni progetto di cooperazione internazionale identifica un gruppo di individui che direttamente beneficiano dei risultati del progetto, e che si chiamano appunto beneficiari.
Il progetto al quale io lavoro in Ecuador si chiama Cooper-Attiva, e nel suo caso tale gruppo è composto innanzitutto dai ragazzi che lavorano in una rete di cooperative maschili. Nelle cooperative, dislocate su tutto il territorio nazionale, vengono creati artigianalmente oggetti e mobili in legno. I ragazzi che entrano a farne parte vengono selezionati tra i giovani delle famiglie più povere delle comunità (a loro volta più povere) dell’Ecuador. Sono quei giovani che non avrebbero acceso a nessun’altra scuola in questo Paese, che non avrebbero altro futuro se non quello di trovare un modo per sopravvivere, spesso nell’illegalità, nell’alcolismo e nella violenza. Gli ultimi, gli invisibili, i fantasmi di questa società che senza saper riconoscere i propri drammatici problemi sociali, viene risucchiata dalla cultura statunitense e la guarda con ammirazione.
Lo scopo ultimo di Cooper-Attiva non è però l’aiuto a un gruppo di ragazzi poveri, bensì è insegnare a quei ragazzi ad aiutarne altri ancora più bisognosi. È così che la mano del progetto arriva a toccare altri beneficiari, attraverso il lavoro volontario che i cooperativisti portano avanti un fine settimana sì e l’altro no. Durante l’attività volontaria i lavoratori riparano case e tetti danneggiati dalle piogge, costruiscono nuove case per chi le ha perse o non le ha mai avute e portano buste con viveri alle famiglie che non hanno di che mangiare.
Ma Cooper-Attiva non si ferma qui. Anzi, direi che l’aspetto più interessante non è neppure quello di cui ho parlato fino ad ora.
Ogni cooperativa lavora mobili in legno finemente intagliati, ed interamente realizzati a mano. I mobili hanno il minimo impatto ambientale possibile, vengono costruiti senza usare chiodi se non dove realmente necessario, vengono rifiniti con lacche e cere all’acqua e non vengono dipinti. Si tratta di vere e proprie opere d’arte, di una semplicità ed eleganza assolutamente introvabile in altre parti dell’Ecuador. Eppure vengono realizzati da quei fantasmi, da quegli ultimi così odiati e discriminati dalla società bianca. Quelle persone sulle quali nessuno ha scommesso, che nessuno ha considerato.
Perciò quando un cliente che si crede borghese perchè ha un macchinone, perchè lavora nel Governo o, meglio ancora in qualche multinazionale, entra nell’esposizione centrale di Quito dove vengono esposti tutti i mobili e chiede da dove li importiamo, io realizzo qual è la vera portata di questo progetto. Spiegare al cliente che i mobili non vengono dagli Stati Uniti, nè tanto meno dall’Europa. Che non vengono realizzati da una multinazionale stile IKEA, ma da piccole cooperative ecuadoriane. E non da qualsiasi lavoratore bianco che ha studiato design in Francia piuttosto che in Italia, ma da indigeni che vengono dalle famiglie più povere delle comunità più disgregate. Questo è il vero obiettivo di questo progetto. Non aiutare le famiglie più bisognose nel breve periodo (cosa che comunque fa), ma sensibilizzare l’intera società ecuadoriana nel lungo. Spiegare alle persone che quegli indigeni che loro discriminano e rifiutano, sono proprio gli stessi artisti che realizzano queste opere d’arte, e mostrare loro le incredibili potenzialità che qualche investimento mirato e un po’ di fiducia possono far sbocciare in chiunque.
Coopera-Attiva non punta a far arricchire qualche lavoratore, o a far sopravvivere qualche famiglia. Punta a smascherare i pregiudizi e le discriminazioni, a dimostrare la loro infondatezza, a lanciare un modello di sviluppo in grado non solo di migliorare la condizione economica di diverse comunità indigene, ma di scalfire il razzismo nell’intera società ecuadoriana, attraverso il lavoro ed il buon esempio.
I beneficiari non sono solo i lavoratori e le loro famiglie, e neppure le loro comunità. Beneficiari lo diventiamo tutti, se riusciamo a convincere e a convincerci che il razzismo e la discriminazione non difendono le risorse di un gruppo contro gli attacchi di un altro, ma impediscono a nuove risorse e nuove forme di benessere di svilupparsi.