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Angamarca é una parrocchia rurale di 6 mila abitanti che si trova nella Provincia del Cotopaxi, in Ecuador. Si tratta di una delle parrocchie più isolate e più difficili da raggiungere di tutta la Serra Ecuadoriana. Ci si arriva dopo 6/7 ore in macchina da Quito per colpa delle terribili condizioni delle stradine di montagna, quasi mai asfaltate e pericolose quando piove.

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Come tutte le parrocchie, anche Angamarca é circondada da Comunità indigene raggiungibili quasi sempre solo a piedi a ore di distanza, e a volte i loro abitanti, che non hanno neppure le scarpe, sono costretti a percorrerle a piedi.

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Ad Angamarca c’é un ambulatorio statale nel quale lavora un medico in Rural: la rural é una specie di praticantato che i medici appena laureatisi devono svolgere per poter convalidare il proprio titolo. Questi medici non vengono affiancati da un medico piú anziano che li controlli, ma vengono letteralmente mandati allo sbaraglio da soli! Inoltre, le assegnazioni vengono stabilite in base ad una graduatoria: chi prende il voto più basso viene spedito nei posti più remoti, Angamarca è tra questi. Morale: ad Angamarca finiscono i medici senza esperienza e laureatisi peggio. Molto spesso, inoltre, questi “medici” non lavorano neppure, perché tanto nessuno li va a controllare, e perciò gli abitanti si ritrovano senza assistenza medica per giorni e giorni. L’ospedale statale più vicino si trova a Latacunga, 7 ore di macchina, ma comunque l’ambulatorio non ha ambulanze, ed andarci in autobus è impossibile per i malati gravi, che se non fosse per una missione di Italiani che lavorano in loco, resterebbero a casa loro sperando di migliorare da soli, o al massimo si affiderebbero ai curanderos locali che molte volte fanno più danni che altro.

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Il partner locale del mio progetto, fortunatamente, ha proprio un dispensario ad Angamarca, nel quale lavora Chiara, altra volontaria di Servizio Civile come me, con l’aiuto di Mario, volontario del partner locale. Ogni volta che vado a trovarli resto scioccata dalla quantità di lavoro che hanno e dal modo in cui dei semplici volontari riescano a prendere decisioni così importanti per la vita degli altri. La scorsa settimana, mentre ero in visita da Chiara, arrivano dei signori agitati che ci dicono che una signora di Quilalò sta per partorire ma il marito non vuole che vada al dispensario!
Quilalò è una comunità raggiungibile dopo mezz’ora di macchina e un’oretta a piedi, ma non in pianura, bensì salendo il pendio di una montagna!

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Mario parte con l’ambulanza e con il kit per parto che Chiara gli prepara e va a prenderla!

Arriva al bivio dove deve lasciare l’ambulanza e si appresta a salire per andare a visitare la donna, ma un ragazzino che lo stava aspettando lo ferma e gli dice che le parteras, cioè le donne che aiutano le gravide a partorire in casa, erano riuscite a convincere il marito: il bambino è podalico, e quindi loro non possono aiutare la ragazza! Bisogna per forza mandarla a dispensario!
Mezz’ora dopo arrivano degli uomini con la donna caricata su una barella di fortuna e avvolta in una coperta sudicia!
L’ambulanza arriva in un batter d’occhio al dispensario dove Chiara la sta aspettando!
Nel frattempo al dispensario c’è un’altra donna che dice di avere 42 anni, ma ne aveva dichiarati 40 due mesi prima, e 41 due anni prima! Smascherata da Chiara sorride: “No se cuantos años tengo doctorita” (“Non so quanti anni ho dottorita”) come la gente Angamarqueña chiama Chiara!

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E’ incinta non si sa bene di quanto, ma a giudicare dalla pancia non più di 5 mesi. Sta aspettando il dodicesimo figlio, e l’utero non ce la fa più! La settimana prima le era letteralmente uscita la parte bassa dell’utero, e lei, che stava lavorando nei campi, l’aveva rispinta su con la mano! Così si era decisa ad andare al dispensario, di nuovo contro la volontà del marito che non voleva che lei perdesse giorni di lavoro!
Chiara la controlla: ha l’utero completamente dilatato, se dovesse partorire, il bimbo non sopravviverebbe.

Allora chiama Zumbahua, ospedale a 5 ore non statale ma pubblico, sempre gestito da Italiani missionari. Le dicono di farle delle flebo e di mandarla a farsi visitare dall’ostetrica.

Ma l’ambulanza è una sola, ed è appena arrivata con l’altra ragazza, 35 anni, anche lei al dodicesimo figlio. La portano dentro e appena Chiara le apre le gambe, partorisce!
Le parteras, che avevano pure predetto che sarebbe stata una femminuccia, tanto per cambiare, si erano sbagliate (cosa che succede davvero spesso!) Però il piccolo aveva il cordone intorno al collo, che infatti è tutto tagliato! Nell’uscita è riuscito a liberarsi solo, ha un po’ di febbre ed ha la faccia paonazza e le mani e i piedi verdi, ma sta abbastanza bene! La placenta, però, si è rotta durante il parto, e bisogna assicurarsi che sia uscita tutta, perché quella rimasta dentro potrebbe fare infezione ed uccidere la madre!

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Parte la seconda chiamata per Zumbahua! Sì porta anche lei!
Le due donne ed il neonato, appena ristabilitesi, ripartono alla volta dell’Ospedale. 24 figli in due: due donne sui 40 anni schiave della loro terra, unico sostentamento della famiglia, e stremate dal lavoro. Due donne vittime dei loro mariti e delle credenze locali, spesso abusate, e messe in ginocchio dai continui parti. Due donne ignoranti, dimenticate dal loro Governo, che preferisce mantenerle nell’ignoranza piuttosto che permettere loro di istruirsi e cominciare ad esigere i loro diritti. Due donne morte, se non fosse stato per un piccolo dispensario sperduto nel Cotopaxi, e due coraggiosi infermieri volontari che fanno da medici ed ostetrici.

Bravi Chiara e Mario.