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Il mio anno di Servizio Civile in Ecuador è ormai terminato, perciò è arrivato il momento degli addii.
Ho passato gli ultimi giorni viaggiando per salutare le persone che ho sentito più vicine in questo periodo, e che mi mancheranno di più, e ho cominciato a tirare le somme di questa esperienza.

E’ stato un anno pieno di sorprese dubbi e soddisfazioni, durante il quale ho imparato moltissimo dalle persone che mi hanno aiutata e anche da quelle che mi hanno ostacolata. Ho fatto cose che non avrei pensato con persone che non avrei voluto. Ho conosciuto gente alla quale, se non fosse stato per questo Servizio Civile, non mi sarei mai avvicinata, che non avrei cercato. Missionari, con i quali credevo di non avere nulla a che fare, e con cui, invece, ho trovato molti più punti di contatto che di distanza, persone che si sono rivelate modelli da seguire, umanamente e professionalmente.

E così mi viene da riflettere: Quante volte ci evitiamo di intraprendere o approfondire conoscenze o relazioni in base a pregiudizi o a idee sbagliate sull’Altro?
Quante volte ci precludiamo meravigliose esperienze perché pensiamo che l’Altro ci metterà in difficoltà?

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Ora guardo il mappamondo, e metto un altro puntino in un altro Stato: nuove latitudini alle quali mandare cartoline, nuovi fusi orari da calcolare nelle future comunicazioni, nuove persone a cui scrivere da lontano e le cui foto seguire in Facebook.

Adesso ripenso a tutti i giudizi affrettati, i pensieri avventati e le frasi azzardate…ricordo il modo in cui ognuno dei miei ex colleghi mi lasciasse perplessa: Alex, la contabile casinista che riusciva a chattare con le amiche, raccontarmi dei dispetti della sua odiata suocera, rispondere al telefono e scrivere una mail senza neanche guardare schermo e tastiera contemporaneamente! Detestavo il suo disordine e il modo in cui riuscisse a propagare caos intorno a sè! Poco tempo dopo, invece, ho cominciato a capire e ad apprezzare l’utilità di una collega come Alex: affianco a lei chiunque sembra ordinatissimo, e in ufficio non si perde mai nulla, perché tutto quello che non si trova ce l’ha sicuramente lei nel suo mucchio di scartoffie e file aperti! Una garanzia!!!

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Franklin e Jhonny, i due fratelli carpentieri che aiutavano con le riparazioni in ufficio e in negozio, che all’inizio non ne volevano sapere niente di cambiare la disposizione dei mobili per dare più visibilità a cose diverse, e che alla fine si credevano quasi arredatori e discutevano tra di loro su se il divano stesse meglio al lato del tavolino o sotto lo specchio! Janeath, la venditrice che diceva di sì a tutto e poi non faceva mai niente! Mayra, la responsabile amministrativa che quando stava per arrabbiarsi sgranava gli occhi e ci faceva correre a tutti per la paura, Maria, la signora che aiutava con la gestione della casa, una mamma e una confidente per tutti noi, ma che quando parlava non si capiva mai un accidenti perché non usava mai i soggetti e Silvia, la trabajadora social, alta un metro e cinquanta con tacchi, dai quali non si separava mai, neppure per scherzo!!! E infine Giovanni e Vanda, i due Missionari responsabili delle attività di Quito: lui biondo e occhi azzurri, con il suo sorriso smagliante faceva innamorare tutti i clienti, e sua moglie, all’apparenza burbera e severa, e in realtà dolce e simpatica una volta che si lasciava andare!

Ora mi pongo solo un’unica grossa domanda: cosa farò adesso? Dopo aver visto tanta povertà, tante differenze sociali, tanta disperazione, è possibile tornare a casa e riprendere la propria vita normale fatta di shopping, centri commerciali e aperitivi? E’ possibile sconnettersi da quella realtà e ricominciare da capo da un’altra parte?