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Ho evidenti problemi con Pedro, e non riesco a mantenere nessuna amicizia perché lui detesta tutti i miei amici. Perciò mi rifugio nel lavoro che, al di là di tutto, è l’unico ambiente tranquillo che mi resta.

Tranquillo? Beh forse è una parola forte. Infatti Massimo, il mio collega salernitano, è tornato in Italia e non si sa bene per quanto. Così io resto sola a lavorare con la Poiana, che però in ufficio non ci mette mai piede! Fa parte di tutti quegli stranieri, e ce n’è moltissimi a Cuba, che sono molto, ma davvero molto comunisti…nelle loro bellissime ville, con le vacanze a Varadero due volte all’anno e con l’autista e la macchina che li portano ovunque. E come mi dice spesso Livia, la mia collega giornalista, così tutti sono capaci di essere comunisti!

Massimo, però, mi ha lasciato nelle mani di Frederick capo del dipartimento di francese mezzo svizzero e mezzo camerunese ma sempre vissuto a Cuba, e dei suoi colleghi: un certo Mark, canadese, e Giselle, parigina. Sono tutti sull’isola da almeno 20 anni, alcuni da molto di più, ed hanno il modo di fare sconsolato di chi ha conosciuto una Cuba migliore e ha visto il deterioramento lento e costante degli edifici, dei valori, e delle persone.

Ad ogni pranzo vado a mangiare con loro nella mensa del Granma. Usciamo dal nostro edificio, a volte restando bloccati dai cali di energia proprio mentre siamo nell’ascensore, e percorriamo il marciapiede che ci divide dal Granma. La mensa si trova al pian terreno, ma per entrare nella costruzione dobbiamo far vedere il nostro carnet di lavoratori al signore che controlla alla porta chi entra e chi esce. E’ un ometto basso, un po’ tarchiatello, con grandi baffi e capelli bianchi. Porta spesso una camicia a quadri con un taschino a cui appende le proprie credenziali e dove infila delle biro.

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Stranamente ogni volta che noi entriamo, spesso in tre perché Giselle viene a lavorare solamente il lunedì (tutti gli altri giorni lavora da casa) con noi si siede sempre l’omino lego (come io avevo soprannominato l’uomo tra me e me). Nella mensa, come in molti altri posti di Cuba, è infatti abitudine diffusa che i tavoli liberi (che nella mensa del Granma sono tavolini quadrati da 4 persone) si condividano anche con gente che non si conosce. Così questo signore per le mie prime tre o quattro settimane si siede con noi, ma curiosamente senza mai parlare. Io converso normalmente con Frederick e Mark. Ci raccontiamo cosa stiamo traducendo, cosa abbiamo fatto la sera prima, che progetti abbiamo per il fine settimana. Vedo Frederick che ogni tanto si irrigidisce e cambia argomento all’improvviso, oppure non mi risponde facendo finta di non avermi capito. L’omino lego non dice mai nulla, non alza mai il capo dal suo pasto, saluta solo quando arriva, e dice arrivederci quando se ne va.

Poi da un bel giorno smette di sedersi con noi, e comincia a sedersi ad altri tavoli, una volta qua, una volta là. Nessuno gli rivolge mai la parola, o parla direttamente con lui, neppure per porgli semplici domande di cortesia, neppure per chiedergli di passargli il sale. Chiedo a Frederick chi sia quel tipo e perché tutti lo evitino. Lui mi risponde bruscamente che non lo sa e non gli interessa. Resto perplessa.

Pochi mesi dopo di me arriva un’altra signora nuova al Dipartimento di Inglese, e anche lei comincia a venire a mensa con noi…dopo qualche giorno noto in modo distratto che l’omino lego le si siede vicino. Non ci faccio molto caso, la mensa è sempre un posto selvaggio e chiunque capita con chiunque, ma il mio cervello immagazzina l’immagine dell’uomo seduto con lei in modo del tutto inconsapevole, per chissà quale ragione, senza che neppure io me ne renda conto.

Qualche settimana dopo all’arrivo della signora, arriva un’altra ragazza al Dipartimento di Tedesco, e l’omino stavolta si siede con lei. Improvvisamente, mentre cammino con Frederick per andare a comprare un caffé in una casa particular poco distante ripesco dalla mia memoria tutte le immagini dell’omino seduto sempre affianco alle nuove arrivate, sempre in silenzio, sempre con il capo chino…come se stesse lì solamente per ascoltare! Istintivamente mi giro verso Frederick per chiedergli conferma, ma mi blocco. Ripenso anche al modo in cui lui si innervosiva quando facevo discorsi di critica a tavola, e a come facesse finta di non sentirmi per non rispondermi, e scelgo di tenermi le mie impressioni per me.

Ma qualcosa comincia ad incrinarsi nella mia relazione con Frederick. Fino a questo momento era l’unica persona, assieme a Livia, che avevo percepito come amica, eppure sentivo che mi teneva nascoste molte cose.

Un anno dopo, ad una settimana dalla mia partenza definitiva, alla festa di addio per Helen, altra ragazza dell’Inglese che pure se ne stava andando, avrei approfittato di un momento di confidenza e le avrei chiesto conferma dei miei dubbi
“Hai presente quel signore che sta sempre alla porta del Granma? Quello con i baffi? E’ un informatore?”
“Sì”
“Cioè lui va a sedersi con le persone per ascoltare quello che dicono e poi lo riporta?
“Sì”
“Ma a chi?”
“Al direttore”
“E poi?”
“E poi, se c’è qualcosa che non va aprono un file su di te e continuano ad osservarti. Al momento giusto lo tirano fuori e sei fregata!”
“Ma tu lo sapevi? Frederick lo sapeva?”
“Certo, tutti lo sanno”
“E perché non mi avete detto nulla?”
E se anche tu fossi della sicurezza? Non puoi esporti con nessuno Mina…tutti potrebbero lavorare per la sicurezza, tutti potrebbero fregarti...this is the Big Brother darling”

E’ così che comincia la paranoia collettiva….