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Devo ammettere che appartengo a quell’ormai sempre più numeroso gruppo di “giovani” che non vogliono stare in Italia.

Quando tornai da Cuba lo feci perché volevo cambiare qualcosa nel mio Paese. Volevo tornare e fare la differenza, essere attiva, fare. Eppure, appena arrivata percepii un’ondata di miserevoli lamenti. Con gli occhi di chi veniva da un Paese del Terzo Mondo, vedevo gente che aveva tutto e si lamentava di tutto. Ragazzi arrabbiati perché non trovavano lavoro, che se poi guardavi bene, ci avevano messo 8 anni a prendersi una Laurea Triennale senza aver mai fatto esperienze all’estero e imparato lingue, senza aver mai avuto un lavoro vero, neppure come cameriere o barista. E mi chiedevo, ma un po’ di povertà non farà bene?

Mi domandavo: “Come mai vengo da un Paese che di disperazione ne ha avuta fin troppa, e dove tuttavia le persone non si perdono d’animo, e studiano, si impegnano, si ingegnano per migliorarsi”. E invece in Italia mi sentivo in una situazione paradossale in cui tutti si lagnavano, ma con gli IPhone, gli IPad, i cellulari di ultima generazione al sicuro nei propri taschini, e un biglietto per una vacanza nei Caraibi nel cassetto perché, la crisi, si sa, stressa!

Così decisi che non era ancora il momento per la mia azione civica, e me ne andai di nuovo, destinazione Ecuador, per un anno di Servizio Civile. Durante quest’anno ho visto situazioni molto più misere e deprimenti di quelle viste a Cuba: persone che vivono con gli animali, come animali. Abusi, violenze, e ancora più abusi, e ancora più violenze. Ignoranza, generalizzata, ad ogni livello, in ogni strato sociale, ovunque. 

Sono arrivata a casa di lunedì, e martedì nel mio paesino di 10 mila persone circa c’è il mercato. Sono andata a farci un giro, e la prima cosa che ho visto è stata un commerciante che ha una bancarella di calzini e che parlava di politica con una casalinga di più di 50’anni. Lui criticava Monti citando tutte le tasse, lei diceva che di Bersani non si fidava, spiegandosi che non ne poteva più delle solite facce.

Che meraviglia l’Italia!!!…un piccolo commerciante e una signora di non molta educazione parlano per strada di politica italiana, europea e mondiale nel mezzo di un piazza qualunque di un paese qualunque. Questa è cultura…e questa è democrazia!

Io non credo che qui ci si renda veramente conto del valore che hanno questi piccoli gesti. Il poter prendere la propria bicicletta ed andare in piazza ed esprimere liberamente la propria opinione senza dover aver paura di ripercussioni sociali o penali. L’aver una cultura generale sufficientemente sviluppata da poter capire una linea politica, e il potersi formare un’idea perché dotati di senso critico individuale. 

Queste sono cose non si trovano facilmente, o non esistono affatto nei tre quarti del nostro piccolo pianeta. 

Ed è per questo che gli italiani all’estero, o almeno in America Latina, la zona che ho conosciuto meglio io, rappresentano la qualità, l’eccellenza, la creatività, l’innovazione. Viaggiare all’estero mi ha fatto capire quanti Italiani veramente in gamba ci sono nel Mondo. Mi ha fatto diventare patriottica ed orgogliosa di essere Italiana. Eppure ogni volta che torno in Italia vedo solo un’enorme scia polemica che investe tutto e tutti, che divora ogni nuova persona che possa voler cercare di emergere, ogni nuova idea, ogni nuovo leader. Non va mai bene niente: se un’atleta vince un oro olimpico non ci si sente orgogliosi per lei, ma la si critica subito per il vestito che indossa o il ragazzo con cui esce. Si mantiene sempre un occhio negativo su tutto quello che succede, sempre pronti a dire la cafonata o la cattiveria di turno per sentirci più bravi, più brillanti, più furbi. L’eccellenza non si premia, non si valuta, perché la mediocrità se ne sentirebbe offesa.

E’ la polemica, inutile, ignorante e sterile che la fa da padrona. Forse il problema non è la crisi. Forse il problema siamo noi. Forse la crisi è solo il nome che abbiamo scelto di usare per nascondere la vera faccia della realtà: siamo arroganti, pigri e cafoni, perché non vogliamo dare valore a nulla che non siamo noi stessi. Siamo disposti a scendere in guerra tra noi piuttosto che cedere un piccolissimo pezzo delle nostre prerogative, e quando non vogliamo più metterci la faccia, votiamo qualcuno uguale a noi perché porti avanti le stesse politiche ottuse ed egoiste.

Devo ammettere che appartengo a quell’ormai sempre più numeroso gruppo di “giovani” che non vogliono stare in Italia…perché una certa Italia forse un po’ di crisi se la merita!